Saturday 27 August 2011

Portmanteau



La scorsa settimana, mentre preparavo il post su staycation, Google mi ha riportato in superficie dal profondissimo oceano di internet - in 20 millesimi di secondo, vale la pena ricordarlo ogni tanto - un post del blog Johnson sulle nuove parole inglesi.

In quel post, staycation, che io avevo intuitivamente spiegato come "fusione" delle due parole stay e vacation, viene definita come parola portmanteau.

Pormanteau e' figlia, un po' approssimativa, della parola francese portemanteau che rappresenta una valigia con due scomparti uguali e che e' stata usata come metafora linguistica per la prima volta, according to wikipedia, da Charles Lutwidge Dodgson (meglio noto come Lewis Carroll) in Through the Looking Glass: 'Well, "slithy" means "lithe and slimy". "Lithe" is the same as "active". You see it's like a portmanteau — there are two meanings packed up into one word.'

Portmanteau, o portmanteaux (se vogliamo trasgredire la grammatica italiana a favore di quella francese) sono anche le note smog (smoke+fog) e brunch (breakfast+lunch), l'attuale emoticon (emotion+icon) e la demode' motel (motor + hotel), l'esclusiva ma forse un po' usurata Oxbridge (Oxford + Cambridge) e la temuta stagflation (stagnation + inflation). Piu' alcune paroline in cui siamo gia' incappati come prosumer (producer + consumer), glamping (glamorous + camping) e globish (global + english).

La lista e' lunghissima, e se avete qualche idea per aggiornarla, potete farlo su wikipedia.

Errata Corrige: affezionati lettori francofoni ci informano che portemanteau, nella lingua corrente, e' semplicemente un attaccapanni, quindi sarebbe stato piu' corretto scrivere "portemanteau rappresentava una valigia con due scomparti uguali". Merci!

Sunday 21 August 2011

Staycation



Il mese scorso ho passato alcuni giorni di vacanza nella mia lontana Toscana, dividendomi tra piacevoli serate con vecchi amici, gustose cene istituzionali (leggi impegni col parentado), ed appaganti oziose giornate balneari.

In una di queste occasioni sono andato a trovare degli amici al mare a Follonica.

Complice il fatto che ci siamo dati appuntamento verso mezzogiorno, la ricerca di un parcheggio ha richiesto una buona ventina di minuti durante i quali non ho potuto non notare una sequela infinita di BMW e di Audi (e nel caso di vetture piccole di 500 o mini - che poi sempre BMW e') che si susseguivano lungo il ciglio della strada e che mi ha fatto pensare: "ma dov'e' 'sta crisi?".

L'amico mi ha fatto giustamente notare che Follonica non e' esattamente Ostia Lido, che SUV esibito e cena a cipolla e' uno sperimentato e solido stile di vita per molti e che, comunque, le crisi economiche allargano il divario tra chi si puo' permettere il cosiddetto "macchinone" e chi insegue le offerte dei supermercati.

Ho ripensato a questa osservazione quando ho deciso di fare il post di oggi perche' un anno fa ne avevo scritto un altro su glamping, il campeggio di lusso per pigri ricordate?, e glamping sta a staycation come il Suv al risparmio da bollino fedelta' del supermercato.

Staycation, credo lo si intuisca, e' la fusione di to stay e vacation, insomma, e' l'ufficializzazione linguistica del passarsi le vacanze a casa.

Staycation e' una parola relativamente nuova che il mio Oxford dictionary del 2005 non riporta ma quello online oggi si e di cui infatti wikipedia fa risalire la nascita al 2007 (l'anno dell'inizio della crisi del credito, of course).

Una staycation non implica annoiarsi in salotto o nascondersi con un po' di vergogna in cantina come faceva Abatantuomo in Nei mari del sud o semplicemente fare quello che si fa di solito bensi' andare alla scoperta della citta' in cui si vive (che spesso si puo' leggere: citta' in cui si lavora e si dorme, boulot-metro-dodo come ci hanno insegnato i francesi) e delle zone limitrofe.

Pur consentendo alla fine un risparmio rispetto ai costi di una vacanza esotica, la staycation quindi per funzionare, deve prevedere un minimo di budget da dedicare a qualcosa che ci piace fare e che di solito non si fa, deve esserci insomma un aspetto nuovo, diverso dal quotidiano, che rompa la routine.

Adesso resta solo da decidere se dopo aver condiviso con UK e US la crisi, ne vogliamo condividere anche le parole che ne sono scaturite, in originale o traducendole.

Io propongo casanza, anche se staycation fa piu' figo, come tutto quello che si dice in inglese. Che ne pensate?

Friday 5 August 2011

There is no I in team



There is no I in team, una bella frasina che mi insegno' una collega inglese quando ancora lavoravo in Italia, andrebbe incisa su una placchetta e consegnata, con voluta solennita', al momento dell'investitura di capi e capetti affetti da ego eccessivo.

Adesso pero' il capetto sono io: da ingegnere hands-on che si confronta con il debugging di software o con le insidie della manipolazione di grandi quantita' di dati, sono mutato in uomo-meeting che si deve destreggiare tra il caledario di outlook e una presentazione powerpoint.

Pero' questa e' anche l'occasione per applicare ad un progetto decisamente challenging (parolina molto gettonata da queste parti) i concetti appresi al corso per piccoli manager: delegare, motivare, pianificare, comunicare, il tutto senza perdere di vista il "delivery on time" un compito, quest'ultimo, rilassante come per un pizza express far arrivare a destinazione la pizza ancora calda nell'ora di punta, sotto la pioggia e con l'unica strada percorribile bloccata causa lavori.

E poi cercare di farlo in una approccio attento al team, che individui ed esalti i punti di forza dei singoli ma provi anche a rimediarne o limitarne le mancanze, e proponendo un approccio coinvolgente e collaborativo che motivi i membri del gruppo a percorrere il fatidico extra mile (altra parolina molto gettonata).

Collaborativo e coinvolgente, certo. Ma non consociativo, perche' come mi ha insegnato recentemente un altro collega inglese: There is no I in team, but there is an M and an E!